Che cosa è il Movimento 5 Stelle

(politica)

Perché le pubblicità degli anni ‘60 ci fanno sorridere per l’ingenuità? Forse che adesso siamo più furbi o intelligenti? Figuriamoci. La ragione sta nelle parole. Da allora le parole sono state consumate da un fuoco inesorabile e di loro non è rimasto quasi più nulla. La parola “genio”, ad esempio, non indica più un Michelangelo Buonarroti o un Wolfgang Amadeus Mozart, ma un conto in banca dell’Unicredit o un commesso di un Apple Store; ed ecco perché sentir chiamare “genio” un Michelangelo o un Mozart fa sorridere.

Si capisce quali sono i poteri che hanno requisito gradualmente le parole per i loro fini, staccandole da noi: il marketing, braccio armato del capitalismo e della teoria economica standard; la politica, nella sua crescente adesione agli scopi di questa teoria e quindi ai metodi del marketing. Il punto estremo di questo annichilimento delle parole si è avuto con la concessione del governo italiano a un megaimprenditore, che naturalmente ha fatto convergere le due forze in una prassi unica, dove distinguere ciò che è spontaneo e autentico da ciò che è calcolato e pagato tende ad essere impossibile. Così “forza Italia” per noi non è più l’urlo che unisce la nazione ma il nome di una fazione che la divide; così “operazione libertà” per noi non è più un piano che solleva il popolo alla rivoluzione, bensì un programma privato di corruzione di parlamentari. Del resto anche la parola “rivoluzione” è stata masticata fino all’osso, sputata e rimasticata, esattamente come tutte le altre, e non vale più dei pochi byte che occupa su un hard disk. È servita per vendere di tutto, dalla banda larga al rubinetto, dalla scarpa alla utilitaria, al punto che eravamo arrivati a credere di vivere una rivoluzione permanente, una sorta di dadaismo pervertito in istituzione.

Il guaio è che quando le parole non hanno più valore, i rapporti umani non hanno terreno su cui poggiare. E le persone non sopravvivono a lungo. L’estate scorsa, in Grecia, un ragazzo mite mi raccontò che il suo Paese aveva perso la speranza da quando era stato chiaro che i primi a non credere nelle parole erano quelli che a più gran voce le proclamavano pubblicamente. Il dolore è tale che persino i non violenti ora cercano rifugio presso quella banda di tremendi ceffi calati a piazza Syntagma dritti giù dal Walhalla per un titanico scontro con le non meno temibili forze della Troika economica: i militanti di Alba Dorata là in mezzo sembrano essere gli unici che credono in quello che dicono, e questa consecutio pura e semplice tra il dire e il fare è un balsamo vitale per l’animo incenerito dalle menzogne. Proprio così dev’essere sorto il nazifascismo, pensavo: un atroce disincanto di fronte al vuoto sotto il vecchio potere, una disperata sete di parole mosse da passioni vere, qualunque esse siano. Molti hanno scherzato su questi sentimenti, molti li hanno sottovalutati, e un giorno si sono svegliati con un coltello alla gola e un piede nella fossa.

Non ho più visto quel ragazzo. Quando gli ho chiesto cosa avrebbero fatto in caso di fallimento dello Stato lui rideva, diceva che ogni mese qualcuno annunciava la fine della Grecia e ci avevano fatto l’abitudine. Evidentemente anche la parola “fallimento” era stata anestetizzata. Ma intanto la realtà avanza, e so che ora da loro manca il sangue per le trasfusioni negli ospedali, che si abbandonano gli infanti sui sagrati delle chiese. Ecco dove si arriva a forza di svuotare le parole, ognuno per i fatti propri: ci si dimentica dove siamo in realtà. Ci si dimentica cosa è il fallimento. Ci si dimentica cosa è la libertà, che non è scegliere tra una montagna di prodotti similmente inutili. Ci si dimentica cosa è la giustizia, che non è pagare plotoni di azzeccagarbugli per scovare il codicillo che aggiri lo spirito civile della legge. Ci si dimentica cosa è la democrazia, che non è mettere un pezzo di carta colorata in una scatola di cartone. Ci si dimentica cosa è la rivoluzione.

Le rivoluzioni sono rifondazioni delle parole. Rifondazioni di sana pianta, con le enormi conseguenze che ciò induce nella vita sociale. Il passaggio lira-euro dà un’idea recente della rivoluzione. Ci sono voluti anni di apprendistato; immaginate il caos se fosse stato imposto da un giorno all’altro. Provate a svegliarvi di colpo in un mondo in cui i mesi hanno cambiato nome, in cui si lavora al massimo tre ore al giorno oppure minimo venti ore, in cui non siete più definiti cittadini ma pesi morti: questa è la rivoluzione, nella sua forma più traumatica. Ma la rivoluzione può prendere forme che non si erano mai viste, forme che non si possono comprendere basandosi sulla storia, confrontando fenomeni incommensurabili a causa delle notevoli discontinuità emerse nei tempi recenti. «La rivoluzione non si presenta necessariamente come una rivoluzione», scrive Rebecca Solnit in Speranza nel buio.

Il progetto di Beppe Grillo è stato fin dall’inizio una rivoluzione in questo senso profondo: un tentativo radicale di rifondare le parole perdute, per placare la gran sete di significato e di passioni autentiche che abbiamo tutti. La grande differenza tra questo esperimento di rivoluzione e le rivoluzioni che conosciamo è che stavolta non si intende cambiare le parole a immagine delle fantasie erotiche di un potere centrale, con la violenza necessaria a imporle dall’alto: stavolta si tratta del tentativo di riancorare le parole a terra, di rimetterle in mano agli esseri umani reali che ci vivono, che amano e smaniano e soffrono, perché tornino a rappresentare le cose che sono più importanti per loro. Per farlo, era obbligatorio aggirare completamente i poteri che hanno distrutto le parole e continuano a gettarle via, tenendosi alla larga prima di tutto da una ignobile partitocrazia asservita alla belluina economia dell’interesse privato, e richiamando di nuovo in causa la cittadinanza in modo organico, non solo in occasione del voto. Il mezzo per realizzare questa speciale rivoluzione non violenta non esisteva prima, ma adesso c’è: l’internet, e in particolare le piattaforme di collaborazione che vi si realizzano, che sono infatti la chiave di volta del progetto. Questa la principale discontinuità. Ma va sottolineato che il digitale abilita il Movimento 5 Stelle insieme al tradizionale incontro faccia a faccia, al localismo e all’attività di piazza, ragion per cui si è scelto come strumento Meetup. Ciò mette in pratica un preciso principio generale: che il futuro è fatto del meglio dell’antico e del nuovo integrati, non solo di mitica “innovazione” che diventa rimozione patologica del passato.

Se si tengono presenti le finalità del progetto e i mezzi per perseguirlo, che fanno una cosa sola, tutto quello che fa Grillo o che avviene nel M5S si può capire senza difficoltà. Grillo è sempre rimasto perfettamente coerente intorno agli scopi di questa rivoluzione. Se ha sempre detto che tutti quelli che erano in Parlamento erano «morti» è perché sono morte le parole che quel Parlamento pronuncia. Se ostracizza i giornalisti italiani è perché costantemente si dimostrano fiancheggiatori dello sterminio delle parole. Se propone un referendum per affidare al popolo italiano la pesante scelta se rimanere nell’euro o no, non è per la demagogia a cui ci hanno abituato i sicari delle parole, bensì per riaffermare – al di là dei limiti dello strumento referendario – il diritto dei cittadini di prendere le più importanti decisioni che li riguardano, beninteso con tutte le responsabilità connesse (considerando che i luminari dell’economia standard hanno dato prova di capire assai poco il mondo reale e non sanno fare previsioni migliori di quelle meteorologiche). Se Grillo non si è mai e poi mai concesso ad alleanze e il M5S continua a rifiutarle, non è per spocchia o tatticismo: è che allearsi con gli agenti funebri delle parole, con coloro che ogni giorno contribuiscono a tradirle e ucciderle o come minimo non proteggono i cittadini da chi lo fa, vorrebbe dire seppellire la rivoluzione ipso facto. Se Grillo o Casaleggio non hanno mai pensato di candidarsi e prendere potere personale in quel Parlamento, ma hanno agito esclusivamente come organizzatori e comunicatori, è per la stessa ragione. Infine, se il linguaggio dei neoeletti del M5S suona così strano e “povero” alle orecchie di molti, se fa sorridere proprio come quello delle vecchie pubblicità, se spaesa giornalisti e commentatori, è appunto perché non è fatto delle parole morte a cui siamo assuefatti ma di parole semplici e viventi, ancorate a terra e alle persone reali.

Mi aspetto che una rivoluzione così non si compia da un giorno all’altro. Questo è solo un inizio, la prima fase sperimentale di un’evoluzione della democrazia che appare ormai storicamente necessaria, verso quelle forme ibride di partecipazione diretta e delegata che vengono definite democrazia liquida e sono mediate organicamente da piattaforme come Liquid Feedback. Sono territori inesplorati e forse insidiosi; ma proprio per questo fanno venire voglia di fare armi e bagagli e partire, partire insieme ai nostri simili alla riconquista dell’umanità dimenticata. Del resto, non è un bel posto il futuro che lasciamo.