Concezioni non immacolate

(daily life, miti d'oggi, tech)

Oggi il papa in piazza di Spagna celebrava l’Immacolata Concezione in piedi su un bel tappeto zuppo.

«Colei che non ha mai conosciuto il peccato», diceva il papa. Al di là delle più bizzarre aspirazioni del cattolicesimo, l’immacolata concezione è ormai disponibile alla donna qualunque tramite una varietà di fecondazioni artificiali. Si concepisce finalmente “senza peccato” con ovulo o seme propri ovvero altrui. Forse non avevano in mente esattamente questo gli archimandriti, pure il risultato è lo stesso, ed è probabile che prima o poi la dottrina la benedica come pratica monda e opportuna. Perché qui da noi sulla Terra anime senza macchia è difficile trovarne. Tra macchie piccole e grandi, però, certo è più nera e maleodorante quella di chi in segreto usa il suo potere di tradire un segreto o una regola e poi se la prende con chi rivela il suo segreto.

E’ quello che succede ormai da tempo con Julian Assange e WikiLeaks. Trovando finalmente un asilo sicuro, nuove montagne di rivelazioni traboccano incontenibili oltre le quinte della falsissima diplomazia internazionale come i rifiuti del falsissimo positivismo business dalle tante discariche esaurite, e imbarazzano e disgustano ugualmente. Se si considera il parallelo sofraffollamento delle carceri e le crisi finaziario-economica, pare che l’uomo bianco sia alla fatale resa dei conti col suo generale sistema di rimozione dei rifiuti dalla cosiddetta sfera civile, malposto sin dalla radice con una concezione non immacolata.

WikiLeaks è un caposaldo già storico in questa resa dei conti, ma mi impressiona la superficialità con cui se ne parla. Non ci si concentra mai sui fuochi della questione: da un lato, da dove vengono quelle rivelazioni, e soprattutto perché; dall’altro, la natura di WikiLeaks, descritto di norma come un “sito”. Per evitare approfondimenti su questo e sulla complessa figura di Assange – le cui avventure odierne non si possono separare dalle sue origini di programmatore “open” – ci si concentra sulle possibili ramificazioni giuridiche o preferibilmente sulle pruriginose accuse di effrazione colposa di preservativo con cui si cerca di ridurlo al silenzio. Riconosco lo stesso atteggiamento che vedo quando parlo con i 40-50enni che hanno figli tra gli 8 e i 18 e senza eccezione si stupiscono ammirati e un po’ intimoriti per l’agilità, a loro dire miracolosa, con cui i piccoli li surclassano quando c’è da usare i computer e dar fondo alle capacità che ha la Rete di offrire servizi e informazioni. Gli adulti normalmente la prendono come un segno dei tempi a cui inchinarsi, insieme alla vecchiaia incipienti, al global warming e tutti gli altri guai; così trovano il loro buon alibi per non far nulla. Ciò non fa altro che aumentare il gap enorme tra il senso che il mondo ha ai loro occhi e quello che il mondo è per i loro figli, mondo in cui essi sono incapaci di accompagnarli. E’ un peccato, perché i figli ne avrebbero un gran bisogno: i nativi digitali non hanno un talento divino bensì semplicemente un’abitudine sensomotoria alle tipiche interfacce digitali con cui sono cresciuti, a differenza dei loro genitori; ma se li interpelli su storia, economia o antropologia della rete, sulle catene di causa-effetto, perfino sulla tecnologia stessa, restano a bocca aperta, dimostrandosi tutt’altro che liberi. E se i loro genitori chiudono gli occhi, se rinunciano a informarsi, cioè si arrendono ancor meno liberi, eccoci tutti abbandonati a un incerto destino senza guida in un mondo spaventosamente contorto e specioso. Dovrebbero essere informati, gli uni e gli altri, che WikiLeaks non si può bloccare con la custodia di Assange perché è un collettivo globale di esperti informatici e filantropi attivisti, e questo tipo di organizzazioni non è separabile dal network supersicuro e ridondante che li tiene insieme, «incensurabile» come lo definisce Assange stesso. Ecco degli immacolati terrestri, direi, innamorati della trasparenza delle intenzioni e della libertà di parola che ispirano la internet sin dalla sua fondazione e si mantiene viva grazie alla sua ingovernabile complessità. Oggi, mente il papa parlava della Madonna, una giornalista inglese su RaiNews al colmo della meraviglia diceva di WikiLeaks: «hanno, non so, un sacco di specchi, loro li chiamano specchi!», presumibilmente riferendosi ai server mirror che servono a replicare file in vari luoghi indipendenti in modo che il sistema complessivo resti indenne alla caduta – accidentale o dolosa – di vari nodi. La frase è rimasta senza seguito, sibillina e inutile, con un sottotesto un po’ triste e indecente; di fatto, significava che se ieri hanno chiuso wikileaks.org a forza su vari server, oggi lo trovi a un nuovo indirizzo e andrà avanti a spostarsi finché servirà, senza poter essere serrato.

La dote più rimarchevole di Assange e dei suoi è quella di tracciare una linea netta, visibile a tutti, che ti costringe a stare da una parte oppure dall’altra, e in ciò a rivelare chi sei davvero. Anche a te stesso, se non lo sapevi. Prendiamo Collateral murder, il video girato da un elicottero Apache americano mentre compie una comune impietosa strage di sconosciuti umani in Iraq, pubblicato il 5 aprile scorso. Una volta che quelli di WikiLeaks l’hanno faticosamente disseppellito e messo online, è necessario guardarlo a costo di sentirsi male; dopodiché, mettendo insieme le immagini e i commenti dei militari, il senso della scena è molto chiaro. Così quando ascolti il segretario alla Difesa Robert Gates che sindaca irritato «questa gente si permette di pubblicare quello che vuole e non ne è mai ritenuta responsabile», è molto facile capire da che parte sta lui e da che parte stai tu. Per quanto mi riguarda, è evidente che Gates ha la macchia più grande di Assange, e ora so ancor meglio da che parte sto. E credo che questa storia avrà su molti il medesimo effetto di pubblico e definitivo orientamento. Mastercard, Visa, Amazon ed eBay, ad esempio, si sono schierate dalla parte del potere bloccando le donazioni a WikiLeaks senza alcun ordine giudiziario o ragione difendibile; e dall’altra parte ecco in risposta una serie di attacchi informatici ai loro sistemi che cominicia a metterli in difficoltà. O stai di qua, o stai di là. E lo dimostri con l’azione.

Il fatto che Julian porti lo stesso nome del protagonista di American Gigolo e possieda un fascino tenebroso da spia venuta dal ciberfuturo, devia irresistibilmente le cronache verso la produzione di un mito usa-e-getta che sta dalla parte del potere, dei segreti e delle violazioni unilaterali. Eppure, allo stesso tempo, si forma per antitesi un mito forte e duraturo, resistente come l’inviolabile rete di WikiLeaks, che si deposita dalla parte opposta come il sedimento di un’emulsione. Già molte personalità della cultura da tutto il mondo, con il governo australiano, premono schierati dalla parte di Assange – il quale, consegnandosi alla polizia, si dimostra perfettamente in ruolo. Se fosse assassinato, la stella che rappresenta diventerebbe in un luminosissimo firmamento. Nonostante nessuno sia senza macchia e ci sarà ancora di mezzo la mitologia, questo mito avrà il pregio inestimabile di aiutare anche quei ragazzi i cui genitori hanno rinunciato da tempo al futuro, e perciò non possono dar loro una mano, a capire quali sono i valori e i mezzi in gioco. Quei parenti, volenti o nolenti, sono di un’altra stirpe, la stirpe della concezione non immacolata. Quella di chi oggi, dopo aver mollato a forza il marocchino innocente, si prende la rivincita scrivendo «Yara si fidava di chi l’ha presa»: e fingendo di delucidare ordisce un nuovo filo alla trama del vuoto sospetto, suo ultimo atto.