I beni comuni e il futuro della sinistra

(daily life, politica)

La sconfitta del fronte centrosinistro in queste ultime elezioni ha un che di consolante per chi bada al valore dei singoli uomini e non degli schieramenti, per chi sta accorto all’igiene delle idee degli individui e alla lealtà con cui le portano avanti. Dopotutto è la conclusione perfettamente logica di un processo di perdita di senso iniziato molto tempo fa, e dopo una così lunga incubazione lo scoppio della malattia è quanto di meglio.

Tutti sanno che la lotta di classe non esiste più e che la cultura nostra è sottomessa pienamente all’industria e ai ciechi, disumani e funesti criteri di crescita e di consumo da essa stabiliti. In questo tipo di mondo, dove il demos è fatto di consumatori e spettatori, va da sé che chi fa l’imprenditore e il markettaro dalla nascita si muove nel suo elemento naturale ed è capace di farsi ascoltare dalla gente meglio di chiunque altro, come sanno fare i venditori eccezionali, modellando la democrazia a proprio piacimento senza violenza, anzi con il sorriso sulle labbra, un sorriso replicato milioni di volte.

I modi del venditore di democrazia saranno naturalmente scenografici, televisivi, come è più gradevole al demos allevato in quella dipendenza; dovendosi adattare al contesto della politica, egli aggiungerà al suo show popolare standard alcune gag ad hoc: tra cui quella della libertà, e quella del pericolo comunista. Va bene, la libertà è una faccenda più sottile, ammetto; però il pericolo comunista, diosanto, tutti sanno che in questo mondo il pericolo comunista non può che essere una battuta, è ovvio, persino un po’ fiacca. Sono proprio i vecchi sinistrati di palazzo a dare sostanza e sugo alla gag, con il loro ridicolo e spesso ipocrita orgoglio di dirsi comunisti, così, senza altre spiegazioni, come ripetendo un’antica formula magica, come fa il papa quando cita il dogma della Trinità. Sicché il loro ruolo in questo mondo è ridotto a quello di spalla comica della parte avversa e nulla più. Chissà se se ne sono accorti. Comunque ben gli sta.

L’unica sinistra superstite che ho ascoltato in campagna elettorale, vera e appassionata, è stata Sinistra Critica; ma la loro spesso corretta e stimabile identificazione dei problemi del presente è molto simile a quella degli opposti del diametro, Forza Nuova, e con loro oltre a un affetto autentico per il popolo condivide purtroppo la tentazione di soluzioni arcaiche, soluzioni buone per un secolo fa, che falliscono nel riconoscere la complessità inedita di questo mondo e risultano perciò inapplicabili ad esso. I due estremi che si toccano si distinguono tra loro per le sezioni di passato che prendono a modello rispettivamente, ignorando il fatto che nessun passato può fare da modello a questi tempi.

Veniamo al dunque. Penso che l’unica possibilità che la sinistra ha di aggiornare la propria identità, conservando un significato al nome e una continuità agli antenati, sia questa: lasciare il liberismo a chi fa lo fa di mestiere, piantarla con quel goffo tentativo di imitarlo copiandone i temi e la voce; abbandonare senza rimpianti le sponde della crescita e dei consumi, spiagge terminali che si vanno inaridendo senza pietà; concentrarsi invece sui beni comuni, quei commons che oggi, per capirsi, si affrontano come fa Lawrence Lessig (da un bel po’). C’è molto da fare in proposito, è tutto vitale, e – incredibile a dirsi – sarebbe tutto di sinistra. Davvero di sinistra, nella sostanza, non per modo di dire scaduto.

Bisogna comprendere quali sono i beni comuni in questo mondo, non un secolo fa; bisogna capire come sono cambiati quelli vecchi, come l’ambiente o il sacro, e quali sono quelli nuovi come l’internet o il patrimonio genetico; bisogna sapere e capire come sono fatti, quali sono i rischi, e soprattutto come vanno protetti con una politica adeguata che dica con coraggio cosa è ormai da evitare a tutti i costi. Solo in questo modo una “sinistra” può riconquistare il suo posto accanto alla gente spaesata, per difenderla davvero dal temibile futuro che gli altri sembrano non avere alcuna intenzione di risparmiarci, col sorriso sulle labbra.