La parola e l’onestà

(daily life, linguaggio)

Attraverso le parole del protagonista di Mao II, lo scrittore Bill Gray divenuto leggendario dopo essere deliberatamente scomparso dalla scena pubblica, Don De Lillo enuncia un brano capitale sul rapporto tra l’uomo e la parola.

«Ogni frase compiuta ha una verità in attesa alla sua fine» dice Bill, «e lo scrittore impara a riconoscerla quando finalmente ci arriva. A un certo livello questa verità è il ritmo della frase, il suo polso e il suo equilibrio, ma a livello più profondo è l’integrità dello scrittore mentre si confronta con la lingua. Io mi sono sempre riconosciuto nelle mie frasi. Incomincio a riconoscermi parola per parola, mentre lavoro alla stesura di una frase. Il linguaggio dei miei libri mi ha formato come uomo. C’è una forza morale in una frase quando ti riesce giusta. Esprime la volontà di vivere dello scrittore. Più mi coinvolgo nel processo di produrre una frase che sia giusta nelle sue sillabe e nei suoi ritmi, più cose imparo su me stesso.»

Ho sentito questo processo di confronto, lotta e scoperta costantemente vivo dentro me stesso, nelle mie mani, nel mio corpo intero che cerca di produrre prosa come scrittore e come copywriter. La necessità, l’urgenza che il testo sia utile / che serva / che dica qualcosa di profondamente sensato / che abbia una forma coerente; e nel contempo che dica o perfino sia esattamente quello che io sono.

Tanti scrivono per il bisogno di raccontarsi o di vendere o di trasfigurarsi o di inventare. Poi ci sono quelli che si impegnano a raggiungere la propria verità attraverso la lingua e limano le frasi una a una finché sono compiute: quelli, come Bill, per cui il rapporto con la lingua è una indagine alla scoperta di se stessi, e dell’essere umani.

Dietro c’è l’annoso dilemma del predicare e del razzolare. C’è una primaria regola morale per me, ed è universale: predicare e razzolare devono essere una cosa sola.  L’importante non è di quale predica e di quale aia si tratti, l’importante è che non ci sia alcuna distanza fra loro. Questo è il punto dell’opera d’arte: l’autenticità, l’estrema onestà. Per questo Raymond Carver consigliava agli apprendisti scrittori: niente trucchi da quattro soldi! Per questo il sentimentalismo e gli altri mille stranoti trucchetti usati nei prodotti di massa sono disprezzabili e disonesti: perché prima di tutto nascondono la verità dell’essere umano che ha scritto quelle parole. Dopodiché creano davanti agli spettatori un miraggio, una finzione vuota.

L’onestà dell’opera d’arte diventa l’onestà tout court, l’onestà di vita, quando il veicolo d’arte è la lingua. La lingua naturale non vale come la musica o la pittura: per suo tramite parliamo tutti i giorni con gli altri, con essa formuliamo i nostri pensieri e ci raccontiamo storie su quello che siamo. La nostra identità non è fatta di note o di pennellate, è fatta di parole. Se la lingua cede ai trucchi, se le frasi sono copie di copie, se le parole sono biechi espedienti, le persone diventano cose da poco nella stessa proporzione.

Siccome attraverso la lingua tutto quel che facciamo è collegato, di qui arriva a svuotarsi l’impegno, l’engagement, e infine viene a mancare la parola d’onore, splendida tradizione d’altri tempi: insomma non ci si può fidare più di nessuno. Che peccato. La gran marea delle parole pronunciate dimenticate rimangiate che ci circondano inutilmente ci trascina lontano dal senso, dal rispetto e dalla fiducia, in un oceano aperto di solitudine dove tutto può essere. Oppure no.

PS. Ho aggiunto un widget nella colonna qui accanto, in fondo, con un dizionario di Italiano a presa rapida. Almeno per me, la via onesta comincia sempre da lì.