Le banche non esistono per natura

(economia, illusionismo)

Ancora circola la semplice verità che le banche «mandano avanti l’economia» e per questa ragione ne abbiamo bisogno e non possono essere lasciate fallire. Questa visione sembra ancora più ingenua di quella cui si oppone: le banche come casa del diavolo e portatrici di ogni male.

La funzione originaria della banca ha subito delle metamorfosi nel tempo è si è progressivamente corrotta. Come è noto, uno scatto decisivo in questa deformazione è segnato dalla confusione tra banche commerciali e banche d’investimento. Si è arrivati all’uso dei depositi dei clienti in attività finanziarie speculative fino al gioco d’azzardo, e consapevolmente ingannevoli quanto i derivati più complessi, gli ABS, i titoli giustamente detti tossici in quanto, come i rifiuti omologhi, il loro rischio non calcolabile è stato seppellito sotto metri di illusionismo matematico e pubblicitario. Non stiamo parlando di onesti e trasparenti gestori di risparmi privati.

Le banche che – per arricchire gli azionisti, non per il bene della collettività – hanno follemente esposto loro stesse e i propri clienti per molti multipli del capitale, e hanno perduto, dovrebbero essere punite con il fallimento: la legge vale per tutti. Questo giusto esito non è stato consentito con la scusa che il fallimento di una banca, portandosi all’inferno i risparmi di molti, può recare disordini sociali gravi. Ma il giusto fallimento di una banca può essere fonte di disordine solo là dove non esiste uno Stato degno di questo nome, cioè uno Stato che protegge prima di tutto i suoi cittadini, piuttosto che gli azionisti delle grandi imprese. Tale protezione sociale è tanto più carente quanto più l’economia è affidata a meccanismi di mercato, i quali come noto non incorporano e non esprimono alcuna morale adatta a noi. Negli Stati dove i cittadini non sono protetti ciascuno sta solo sul cuor della terra e deve solo pregare di farcela, se no è spacciato: solo in un quadro del genere il fallimento di una banca assomiglia a una catastrofe naturale.

Le banche e la politica di cui parliamo si muovono in questo quadro come se fosse scontato e incontrovertibile. Ma non lo è. Nei Paesi dove prevale la solidarietà sociale i consumi sono sostenuti dalla sicurezza che il cittadino ha garantita sulle necessità di base: istruzione, salute, previdenza, ecc.; dove invece prevale l’economia di mercato le disuguaglianze di reddito sono estreme e i consumi delle fasce basse (la gran parte della popolazione) devono essere sostenuti con l’indebitamento e con il credito al consumo, vale a dire istigando ai più sconsiderati e fatali comportamenti individuali di dipendenza, deleteri anche socialmente. Le banche e le finanziarie che prosperano in questo sistema si possono ritenere a tutti gli effetti colpevoli protagoniste, insieme alla politica cieca che con esse collabora e si ritiene a posto con la coscienza scrivendo “gioca responsabilmente” in calce al suo casinò perpetuo, di una vera e propria circonvenzione di incapace generalizzata.

Come se non bastasse i meccanismi di mercato sono costantemente violati dai più forti attraverso la prevedibile collusione tra poteri finanziari e potere politico. Il salvataggio stesso delle banche ne è la prova più lampante: altro che difesa dell’ordine sociale. Si pensi che ad oggi risultano 42 miliardi di potenziali perdite pubbliche sulle posizioni di derivati stipulati negli ultimi anni dal Tesoro: le banche non si fanno certo specie di invitare, come il gatto e la volpe, dei burattini statali a puntare soldi dei cittadini su speculazioni senza garanzia alcuna. I soldi pubblici usati per salvare le banche ammontano a cifre inconcepibili: gli ultimi dati che lessi la stimavano il bailout globale intorno ai 14mila miliardi. Si tratta di un oceano di denaro che avrebbe potuto essere usato ben altrimenti: cioè per proteggere i cittadini dall’insolvenza delle banche, rafforzando lo Stato sociale in cui i soggetti deboli sono al centro dell’interesse per davvero, non per finta retorica come nello Stato neoliberista in cui il forte è protetto e aiutato, e il debole si ritrova regolarmente solo con i suoi problemi. Al contrario, nello scambiarsi questi soldi, teoricamente contro le norme almeno in UE, le banche e la politica hanno apertamente stracciato il decalogo di mercato, riaffermando la validità di una pratica disgustosa: quella dei profitti privati e delle perdite pubbliche. La grande impresa fa utili esclusivamente per la élite degli azionisti, mentre il passivo viene sovvenzionato dalla massa dei cittadini estranei ai profitti. In effetti, se ci si fa caso, i cittadini sono lo sfiatatoio di tutte le magagne dell’economia di mercato: tutte le falle della teoria vengono coperte dai cittadini, per i quali costituiscono una serie interminabile di “esternalità negative” da sopportare con il portafogli o con la salute.

Bisogna sempre, in ogni occasione, ricordare che l’economia neoliberista, di cui le banche come le conosciamo oggi sono le istituzioni peggiori e più pericolose sotto ogni profilo, può esistere solo in quanto sovvenzionata da chi non ci guadagna niente e ci perde soltanto. Non è questo il mondo che voglio, e comunque non ha futuro.