AD-free

Support ad-free zonesQuesta rivista è un esempio di zona ad-free: non contiene pubblicità di alcun tipo, non è finanziata dalla pubblicità, non vuole dipendere dalla pubblicità. Vive del pane scavato altrove, e vive d’amore. Perché si può fare qualcosa di buono anche indipendentemente dalla pubblicità e senza di essa.

Una zona ad-free è una zona franca mantenuta pulita e indenne dalla plubblicità di qualsiasi genere. È una superficie o un tempo non in vendita.

Le zone ad-free sono sempre più rare. Un esempio augusto è Altroconsumo, la rivista dell’Associazione famosa per le sue analisi accurate dei beni di consumo, splendidamente vuota di inserzioni come un bosco incontaminato. L’Associazione non prende soldi brandizzati, e quindi è difficile sospettarla di spacciare informazioni pilotate da un interesse privato. Tutti coloro che si fanno finanziare dalla pubblicità, invece, sono per lo meno sospettabili, a buon diritto. E questo sospetto è una freccia al cuore della nostra cultura, il problema principale dei nostri tempi in cui la parola non vale quasi più nulla. Se c’è una cosa di cui abbiamo bisogno oggi, ancor prima del lavoro e dei soldi, è di poterci fidare. Abbiamo un bisogno vitale di riferimenti ed esempi che credono in quello che dicono.

La rarità delle zone prive di pubblicità dà una misura della distruzione  del sacro nella cultura e nella società occidentale. Attenzione: il sacro non dipende da una religione. È vero il contrario, il sacro è un sentimento primordiale. Sacro è ciò che non si tocca, per definizione. Un perimetro di rispetto totale. Perimetri del genere da noi sono praticamente estinti, in gran parte per mezzo di vendita a scopo pubblicitario. Per questo il senso va riaffermato prima di tutto imponendo un limite alla pubblicità. Alla pubblicità le regole di un’economia falsata, disumana e catastrofica concedono ogni spazio, ogni tempo, ogni interstizio, senza riguardi, come una necessità imprescindibile, come se essa fosse l’unica possibile salvezza rimasta per i contenuti, per l’arte, per il lavoro. E perciò ad essa affidano fatalmente ogni giudizio. Quel che è possibile per noi, lo è sempre e solo dopo una breve pausa pubblicitaria. E chi paga quella – fra l’altro dilapidando in ciò risorse enormi che non sono solo sue – detta la sua ferrea legge commerciale su quello che viene prima e dopo. Più l’aria è satura di pubblicità, più la collettività è povera, a vantaggio di qualche azionista che ci guadagna. Questo non è accettabile.

Le zone ad-free sono sempre più necessarie  per ricostruire un senso della vita, che ha bisogno del sacro, cioè del limite opportuno, di ciò che è intangibile e gratuito, di ciò che è patrimonio fisico o simbolico della collettività e non è ammesso colonizzare e corrompere. Abbiamo tanto bisogno di rimetterci in contatto con la sacralità dei rapporti non riducibili a quantità. Rapporti senza i quali stare al mondo perde il nocciolo del suo senso. Aria incontaminata da doppi fini, ambiguità, sospetti: franche anche in tal senso. Senza queste zone di rispetto sarà difficile costruire economie di relazione che sostituiscano gradualmente quella della crescita, ormai evidentemente impraticabile.

Una zona ad-free è l’equivalente esatto, per la cultura occidentale, a ciò che un parco naturale è per la natura. Per questo dovrebbe essere oggetto di attenzione della politica. I due aspetti sono inevitabilmente collegati. Ci vorrebbe un WWF per la protezione degli ecosistemi culturali e mentali che sostenga politiche di liberazione dalla pubblicità come chiave di accesso a un futuro possibile.