Breviario di macroeconomia catastrofica

(economia, miti d'oggi)

Un recente articolo su Internazionale (“Tempesta di debiti”, 13/02/09, p.42 e segg.), può funzionare da bignami di macroeconomia corrente molto utile per capire certi aspetti della crisi. Ho fatto per me stesso una sintesi, aggiungendo qualche considerazione personale.

Il Wall Street Journal annuncia ironico: siamo di nuovo tutti keynesiani. Cose fino a un anno fa blasfeme, esecrande ad orecchie liberiste, come la nazionalizzazione delle banche e il salvataggio dell’economia di mercato a spese degli Stati, magicamente sono diventate normale amministrazione. Tutti le accettano per scontate: economisti, commentatori, cittadini. Ancora una volta le cause di forza maggiore dimostrano quanto poco valgano le presunte regole studiate a tavolino dagli economisti. Ancora una volta provano che viviamo in una civiltà guidata dalla catastrofe. Nessuno si dà pena di riconoscere che le teorie sono miopi, misere, arbitrarie, che sono ridicole semplificazioni, finché non arriva l’ovvio disastro a dirlo in faccia a tutti. A dispetto di ogni autorità e influenza. A quel punto chi comanda cambia strada e fa spallucce; chi obbedisce abbozza e si sconcerta. Dopo un po’ sono tutti abituati al nuovo corso. Fino alla prossima catastrofe.

La regole di prima e quelle di dopo sono sempre le famose regole confermate dalle eccezioni. Occhio all’antica estrosa formula. Dovrebbe sempre mettere in allarme perché fra le righe a buon intenditor dice: guarda, qui stiamo facendo finta che queste siano vere leggi, come quelle della fisica, il nostro modello ideale, ma non è così, no, a dire il vero non lo sono proprio per nulla, sono solo un po’ di tentativi di mettere ordine nel caos, di immaginare un metro di futuro, ma niente certezze, niente fondamenta, nessuna affidabilità.

Pensiamo agli accordi economici di massimo livello. Pensiamo alla soglia del 3% per il deficit pubblico fissata da Maastricht. Se, come sembra, sarà superata di gran lunga da molti grandi stati (GB al 9,6%, Irlanda al 13%!) che succede? Toccherà arrendersi alla realtà e cambiare le regole.

Pensiamo alle istituzioni economiche che passano il loro tempo a fare previsioni su PIL deficit ecc. e a ritoccarle in continuazione. Non è un giochino da ragazzi questo? A che serve una previsione se la cambi ogni giorno? E insomma, a che servono queste istituzioni? Per cosa vengono pagati i loro dipendenti?

Accanto alla privatizzazione delle banche, negli Stati Uniti si prevede la creazione di una bad bank pubblica che compri tutti i titoli spazzatura. Dovrebbe costare al popolo americano circa mille miliardi di dollari. Maggiori spese per lo Stato quindi; e con ciò cresce moltissimo il deficit, cioè la differenza tra spese e entrate. Siccome le entrate sono già tutte assorbite da da welfare, difesa, sanità e interessi sul debito pubblico, servono altri soldi. Per averli lo Stato (USA, ma per gli UE è lo stesso) deve chiederli in prestito: emette obbligazioni e le mette in vendita. Così va ad indebitarsi ulteriormente.

Ora se l’indebitamento di uno Stato sale oltre una certa percentuale del PIL (ad es. la soglia per la Germania è sul 10%) quello Stato diventa meno credibile come debitore, e le agenzie abbassano il suo rating. La gente non si fida. Allora per invogliare a comprare le proprie obbligazioni lo Stato alza i tassi d’interesse, e così facendosi indebita ancora di più. Questa spirale può andare fuori controllo, lo Stato finire strangolato dal pagamento degli interessi e fallire.

Per pagare i debiti uno Stato ha due vie: 1) risparmiare, tagliando le spese e/o alzando le tasse; oppure 2) stampare più valuta, per far pesare meno gli interessi, ma così sale l’inflazione, aumentano i prezzi e diminuisce il potere d’acquisto del denaro. In entrambi i casi, comunque vada, a pagare sono i cittadini. Come ha detto Sacconi, se lo Stato italiano non riuscirà a vendere i suoi Btp perché la gente non si fida di acquistarli, potrebbero non esserci i soldi per pagare gli stipendi e le pensioni e finiremmo come in Argentina.

Tirando le somme, ecco il paradosso: i cittadini devono finanziare con i propri investimenti l’erogazione del proprio salario e dei servizi che lo Stato dovrebbe loro in quanto contribuenti. Questa assurdità mette in chiaro l’assenza di fondamenta e di logica di tutto il sistema, dove salta all’occhio soprattutto una cosa: il ruolo di capro espiatorio generale che è assegnato al singolo cittadino, ultimo anello di ogni catena di potere, nella nostra democrazia. E’ inquietante constatare come ogni via d’uscita gli sia preclusa, come egli non possa sfuggire in alcun modo a questo destino, se non con una auto-emarginazione radicale.

Governanti incapaci o disonesti hanno devastato il territorio, realizzato opere inservibili, prosciugato le casse pubbliche? Alla fine, qualsiasi metodo di risanamento pescherà nelle tasche dei cittadini.
Manager arraffoni insaziabili o sciocchi hanno portato l’aziendona al tracollo? Lo Stato non potrà permettersi di lasciarla fallire per non creare un’emergenza sociale e alla fine dovrà salvare il privato con i soldi dei cittadini, tanto per dimostrare un’ennesima volta che la distinzione privato-pubblico è quanto mai labile; e mentre la discussione si accapiglia pro o contro i due astratti termini di tale opposizione surrettizia, i manager colpevoli si tengono i soldi in mancanza della minima legge che richieda indietro i bonus  ingiustamente regalati (e dico che ci vorrebbe una legge per la confisca dei beni, per far sentire di nuovo il calore della responsabilità in quei freddi petti indifferenti).
Le teorie economiche di cui si riempiono la bocca schiere di sussiegosi venditori di fumo professionisti sono campate per aria e non valgono neanche la vecchia predella da cui ci ammaestrano? Alla fine una crisi spazzerà via tutto e a soffrire e a pagare sarà di nuovo il cittadino. Il professionista si terrà i suoi lauti proventi da imbonitore e al massimo scriverà un nuovo libro con una nuova teoria.

La riduzione del tenore di vita e l’impoverimento dei cittadini sono il punto di fuga di tutte le linee prospettiche disegnate da influenti e sconsiderati architetti del futuro a cui si consegnano le chiavi della città con troppa, troppa fiducia. Gente spensierata che la fa sempre franca, sapendo benissimo che non sarà mai richiamata alla sbarra a pagare le proprie previsioni sbagliate. Su tutto grava inoltre il peso della normale malversazione quotidiana, la tassa da pagare all’animale che quando gli capita di gestire il suo simile raramente riesce a fare a meno di approfittarne e accaparrarsi più potere e più denaro possibile. I soldi che gli Stati stanno spendendo per il salvataggio sono a rischio dirottamento come gli altri, qualcuno li potrà sprecare o se ne potrà appropriare indebitamente. Le agenzie di rating sono corruttibili. E così via.

Nel complesso, lo scenario che viene portato drammaticamente allo scoperto in questi mesi è miserevole e inquietante per i comuni cittadini. Fatta parziale eccezione per la libertà di parola e di scambio, la democrazia è impotente di fronte a questi fenomeni. È una posizione di inerente debolezza che mostra tutta l’insufficienza di questa vecchia organizzazione alle prese con l’insostenibile complessità del XXI secolo. E’  necessario cercare nuove forme di partecipazione e di controllo che la conformino al presente. Le piazze sono importanti per protestare, ma ci sono altre piazze oggi dove l’unione e la forza possono essere ben più vaste ed efficaci.

Credo che la prima richiesta popolare dovrebbe essere la trasparenza totale di governo. Dagli USA ecco una prima ottima mossa.