Elezioni antiuomo

(miti d'oggi, politica)

L’esito/exitus/exit delle elezioni 2008 ancora non è noto mentre scrivo, ma una cosa è certa: il ripieno di questa campagna elettorale è stato interamente cucinato coi punti di vista di una teoria economica vecchia, pericolosa e insostenibile. Roba marcia, da buttare.

No, neanche mi avvicino al sogno del partito degli aziendali, di quella terribile chimera che è lo stato-impresa: è una cosa veramente troppo oltre, sebbene con questo contagio malsano purtroppo tutti stiano familiarizzando senza accorgersene. Compreso Napolitano, poverino, quando da quella sua lieve ipnosi persa tra il passato e il presente cita «il sistema paese». Ma Veltroni, anche Veltroni non ha fatto che ripetere la stessa cosa: «il problema dell’Italia è la crescita, dobbiamo car crescere il PIL».

Come dimostra questo famoso e inascoltato discorso di Robert Kennedy, suo lungimirante lascito prima di essere ucciso, sappiamo almeno da quarant’anni che il Prodotto Interno Lordo è il criterio più sbagliato per valutare la ricchezza di una popolazione. Somma i soldi di ogni transazione, compresi gli sperperi, le tragedie, i disastri naturali, i costi delle scelte sbagliate, gli scarti pretesi da un sistema produttivo idiota; insomma, computa gli errori come fossero vantaggi, e gode della sofferenza umana volente o nolente, anche di quella inferta dalla prepotenza e dall’ignoranza, anche di quella più efferata. I rifiuti di Napoli gli incidenti stradali e i genocidi possono essere una manna per il PIL, ma di certo non per noi.

Eppure non c’è niente da fare: questi qui parlano ancora solo di PIL. Ancora calcolano tutto in base al PIL. Ancora pensano che il futuro si possa progettare col PIL. Sono come dei ragazzini scemi che hanno imparato una sola frase e qualsiasi domanda gli faccia il maestro ripetono quella.

E cosa vogliono, dal PIL? Ma è naturale: la crescita! Le due cose vanno sempre a braccetto a far danni, come il gatto e la volpe. La lezioncina imparata a memoria nel secolo scorso lega indissolubilmente PIL e crescita. Ma la crescita a tutti i costi, la crescita ossessiva, la crescita come unica salvezza, ormai è chiaro, è la garanzia di una brutta fine per tutti. E’ la tossicodipendenza dell’umanità. E’ un concetto che va abbandonato alla radice. Con delicatezza, ma inesorabilmente come in ogni cura disintossicante. Se non si inzia da lì, ogni altro accenno alla sostenibilità è vuoto o finto o vano. Come non si può pretendere che un alcolizzato sia un buon padre di famiglia, sostenibilità e crescita sono una contraddizione in termini.

Per farsi una prima idea di come abbandonare la bottiglia, di quanto sia doveroso farlo e quanto possa essere bello risentirsi umani fino in fondo, consiglio il delizioso libretto di Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena; e poi il sito del movimento per la decrescita di Maurizio Pallante, ed altri che stanno nascendo in Italia. Qui sono le premesse a qualsiasi verdismo che non sia un imbroglio, e l’unica chiave a un futuro migliore che sia ancora (forse) in mano nostra. Un minimo di antidoto alla cecità degli eletti.