Indietro non si torna

(illusionismo)

La cronaca di Roma del Messaggero oggi apre con i risultati di un sondaggio annuale: i romani sono sempre meno soddisfatti della qualità della vita, in particolare per i mezzi pubblici e la sporcizia. L’informazione è banale, non serve l’occhio di vetro della statistica per vedere la zuppa sordida in cui si sobbolle. Un’altra è la cosa che m’incuriosisce davvero: con un punteggio medio di 5,71 «siamo ritornati», dice l’articolo, «ai livelli del 2007». Quanto spesso ascoltiamo descrizioni del genere. Ad esempio quando si parla del lavoro perduto o del PIL sfumato è immancabile un “siamo ritornati al livello del”. Perché questa frase mi fa incazzare? Perché impone una metafisica nascosta: la crescita indefinita. Presuppone questa storia: dobbiamo far sì che i livelli di qualunque cosa salgano senza sosta, in ciò soltanto abbiamo la misura della nostra grandezza; se i livelli si abbassano, il ritorno al passato decreta la nostra sconfitta e perdita di senso. Potrei parlare per ore dell’infantilismo di questa visione da mentecatti, ovviamente legata alla brutalità dell’economia ancora regnante, che dimostra un’idea dell’uomo tanto arbitraria, parziale, idiota. Qui mi limito solo a insistere su una domanda, una domanda che né quegli economisti, né i politici che ne applicano le teorie, né i giornalisti che le ripetono, sembrano porsi mai: dove dovrebbe portare questa escalation costante? Dopotutto, anche il paradiso terrestre è un livello del passato.