La grande ipnosi

(ambiente, illusionismo, politica)

Internazionale ha dedicato la copertina della settimana passata a un ultimo avvertimento sull’ambiente gridato attraverso il megafono autorevole di Naomi Klein. Il raffronto con il dibattito politico che occupa tutti gli altri media è angoscioso. Sembrano aver luogo in due universi separati. Là un’incombente minaccia di distruzione della specie umana; di qua accanite partite di mah-jong e sottili battibecchi sul fiscal compact, l’età pensionabile, la costituzionalità di obbrobri legislativi. Il brutto risveglio arriva quando ti rendi conto che il mondo è uno e uno solo.

Negli ultimi decenni ci siamo abituati ad avere davanti agli occhi una vetrina globale del dolore, un emporio che offre dagli tsunami distruttori al dilagare della povertà, dalle baby squillo al vieto razzismo, dalle guerre civili allo sfruttamento del lavoro, dalle truffe alimentari alle migrazioni letali. L’ambiente appare una questione fredda e sfocata rispetto alle storie tragiche della gente, ma la verità è che la sfera naturale raccoglie in sé tutto questo. È l’edificio del teatro e insieme gli spettacoli che vi si rappresentano. È le gambe e insieme le partite di calcio che giocano.

Negli stessi decenni l’ambiente è stato un fronte in rapido movimento, e solo gli scienziati specializzati sono stati attenti a cosa vi succedeva mentre si accumulavano le deiezioni di una parte dell’umanità persa in un delirio autoerotico (escluso quel miliardo di persone che non hanno ancora accesso all’elettricità). Brad Werner, James Hansen, Kevin Anderson e Alice Bows, Bill McKibben sono le personalità citate nell’articolo, ma dietro di loro se ne agitano ormai a migliaia, tra cui i firmatari dell’ultimo severo rapporto dell’International Panel on Climate Change. Da tanto tempo tentano di spiegare ai politici e agli economisti le conseguenze delle scoperte della geofisica e della climatologia. Inutilmente.

Questi decenni persi in un infantile temporeggiare, in sacrifici rituali a teorie sballate, hanno trasformato la via verso il necessario risanamento da quella che poteva essere una ripida salita in un gradino altissimo. I due gradi di aumento della temperatura media del pianeta, limite di contenzione su cui ora si dicono più o meno tutti d’accordo, già comportano probabili disastri. E pure per restar dentro questo confine wilcoyotiano ci vorrebbe un ritmo di abbattimento delle emissioni piuttosto violento, almeno il 10% in meno ogni anno. Se pensiamo che un simile calo dell’anidride carbonica si è verificato solo durante le immani distruzioni del ‘29 e della seconda guerra mondiale, è facile capire che un po’ di tasse sulle emissioni inquinanti e la diffusione di tecnologie verdi sono misure ridicole. Serve quella riconversione industriale massiva e rapida da economia di guerra che un altro notissimo scienziato dell’ambiente, Lester Brown, da tempo già indica come unica soluzione. In altre parole ci vuole una scarsità panificata, una controllata ma perentoria e sistematica decrescita.

La decrescita comporta un’inversione di marcia radicale rispetto alle regole del capitalismo. Per il capitalismo la parola ‘decrescita’ è tabù, come risulta chiaro dall’insistenza uniforme con cui tutte le parti politiche predicano imperterrite la loro immaginaria escatologia fatta esclusivamente di crescita e di ripresa. Le priorità di ogni intervento sono tuttora la fluidificazione dei commerci (vedi l’accordo di ieri al WTO) e l’accelerazione dei consumi e della tecnologia, una superconduttività globale. Ma verso quale destino si corre? È un problema che questi personaggi così consumati nell’arte dell’irresponsabilità, per parafrasare Pasolini, non si pongono. Secondo Anderson e Bows «c’è ancora tempo per evitare un riscaldamento catastrofico, ma non con le regole del capitalismo». E, soggiunge Klein, «è forse il miglior argomento che sia mai esistito per sostenere il cambiamento di queste regole». Sarebbe una ottima notizia, nonostante tutto; ma purtroppo la sordità è ancora assoluta, la teoria egemone non si piega, e il vuoto chiacchiericcio dei poteri va avanti di corsa sul suo binario fatale.

Anche l’obiettivo di ridurre dell’80% le emissioni del 1990 entro il 2050 fa parte del gioco: un orizzonte così lontano è inutile, è una convenzione campata per aria, senza alcuna base scientifica, serve solo a rimandare ulteriormente le scelte difficili rendendole praticamente impossibili. Perché nel frattempo il fronte avanza ancora e i punti di non ritorno vengono superati, mentre il consumo di fonti fossili continua a crescere. Il fabbisogno energetico previsto nel 2035 è di 17,3 TEP (tonnellate equivalenti di petrolio) rispetto alle 13,1 del 2011, la maggior richiesta quasi tutta proveniente dai Paesi non OCSE che fanno di tutto per farsi definire “in via di sviluppo” in modo da avere mano libera, una specie di attestato di infermità mentale che avalla comportamenti maligni. Sull’orlo del precipizio si combattono battaglie di questo genere, fatte di parole, di slogan, di definizioni assurde che non hanno nessun rapporto con la realtà fisica del mondo in cui viviamo tutti. Riconosciamo gli effetti collaterali dell’affermazione del marketing come strumento principe della pratica politica: l’apparenza delle cose ha preso il posto delle cose, l’ottica si è accorciata sul brevissimo termine.

Gli scienziati stessi sono così intimiditi dalla protervia dell’economia liberista che spesso rilasciano versioni edulcorate dei loro risultati; e nel caso le cantino chiare, i governanti non esitano a emarginare le raccomandazioni scomode dichiarando che gli scienziati non si devono immischiare nella valutazione dell’attività politica perché fanno un altro mestiere. Un’arroganza incredibile, considerato che proprio l’ignoranza profonda del funzionamento reale dell’uomo e dell’ambiente da parte di chi li amministrava ci ha portati fino a questo grave repentaglio. Gli errori di un’ignoranza presuntuosa non possono che accumularsi, come si accumulano tangibilmente la CO2 e le sostanze cancerogene nell’ecosistema.

Se l’economia non sarà trasformata per via di ragione e amore, lo sarà per forza di sfacelo. Ma l’attrito dell’attivismo e della protesta di chi si è liberato dall’ipnosi può ancora fare molto per metter freni alla corsa a tavoletta di questi fanatici dementi che credono di padroneggiare l’universo con quattro formule insensate.