Natale pretesto

(cultura, pubblicità)

Spesso le cose più vere sono sotto casa. Una massima che vale massimamente a Natale.

Questo cartellone un po’ sgangherato per le piogge pesanti, che ho immortalato col cellulare proprio qui di fronte, è la pubblicità del supermall di Roma Est, uno dei tanti nuovi spaventosi centri commerciali che orbitano intorno alle città come pianetini in delirio, con le loro concentrazioni di negozi a centinaia, boschi di negozi in paradisi d’aria condizionata e luce artificiale.

Il pregio notevole del messaggio è evidente: questi se ne fregano di girarci intorno. Hanno smesso di preoccuparsi. Tirano giù quello straccetto  che ancora velava il Natale commerciale e dichiarano apertamente di cosa si tratta. E’ solo un pretesto per comprare. Non che non lo sapessimo già che Babbo Natale non c’è, ma visto così nudo il concetto è toccante.

Questo genere di extreme advertising potrebbe sembrare un cattivo segno. Invece è un bene.

E’ una distopia da romanzo fantasociale alla Ballard. Non tenta più di imbambolare con sofisticherie. Segna un passaggio di valico: la consunzione delle capacità retoriche e narrative fa da controprova al fatto, dimostrato altrove da una crisi monumentale, che il sistema crescita-consumo è arrivato al massimo della sua dismisura. La pubblicità, che ne è sempre stato il barometro più fedele, ce lo indica con chiarezza: che ha toccato il fondo e perciò chiede aiuto. Chiede aiuto a noi per noi. Ci chiede di metterci in salvo dal suo non-futuro.

Noi non ce la faremmo come al solito, se non fosse che questo Natale 2008 – «dove tutto è possibile», suggerisce il cartellone – a quanto pare si dànno un’altra volta magico convegno la necessità e la virtù. La magra impone di spendere poco? Regali all’osso? L’utile e non il futile? Magari, neanche l’utile? Tanto meglio. Forse torneremo  finalmente alla meraviglia di quei doni che non si possono comprare. Per gli altri, e per noi stessi.  Quelli per cui non si spende un euro.

Tanto di guadagnato per il mondo intero.