Nobel senza volto

(miti d'oggi)

In questi giorni l’internet vede anche da noi il mattino di una concreta attività politica, dove la Rete di Beppe Grillo ha fatto l’alba.

Il No-B-day, prima vera prova di mobilitazione di massa basata sulla rete in Italia, indipendente e alternativa ai circuiti governati dai partiti. Di questi comincia a riscattare i tanti orfani, reietti o dissidenti, che non sanno più che farsene degli uni e degli altri, poli esausti e traviati entrambi dallo stesso pathos artificiale e privo di futuro. Se non moribondi fra altre idee defunte. Quella del No-B-day è una partecipazione nuova che ha ancora tutto da compiere, ma nello storico 5 dicembre ottiene un risultato che il mio cuore disilluso e speranzoso non può che definire commovente: resetta quella parola decisiva, politica, alla sua posizione pristina di epoche che sembravano immemorabili.

Negli stessi giorni e àmbiti, va segnato un altro fatto. L’ultimo numero della rivista Wired Italia – organo nazionale, inaugurato quest’anno, del leggendario magazine che dal 1993 scruta con profondità la vita brulicante in quella stessa rete che ha reso possibile il No-B-day – se ne esce con una strana proposta: a internet il prossimo premio Nobel per la pace.

È un’idea sorprendente, che a prima vista sembra del tutto allineata a quel meraviglioso e nobile sforzo di riappropriazione di democrazia. Ma in realtà va nella direzione contraria. Vediamo perché.

Nel 1996, un’era fa, scrissi W.C.Net: un libro intero dedicato a recensire le sciocchezze di cui i pro e i contro internet, spettacolosamente disinformati, allora riempivano stampa e tv. Molti trovavano facile esca alle loro vuote farneticazioni, spacciate per informazione, nella personificazione della rete. Dall’originale “the internet”, in Italiano s’era perso l’articolo e in cambio guadagnata una maiuscola, chissà come. Così la internet era diventata (Grande Padre/Madre) Internet, divinità pellerossa, poderoso mito d’oggi. Sarebbe rimasta curiosità divertente, se non fosse che questo diffuso tipo di mitologie mettono i concetti astratti avanti agli agenti, nascondendo le scelte di questi individui e con ciò facendone sparire le responsabilità nel vasto interno cavo di concetti enormi, fantasmi imprendibili. Sono paradisi fiscali per le idee.

La candidatura di internet al Nobel per la pace dimostra, tredici anni dopo, che quel filone di mitologia è ancora vivo, vegeto, e pericoloso. La propongono, con l’immaginabile entusiasta orgoglio da primo passo sulla luna, gli ideologi americani della rete, i “guru” (sempre nuovi anch’essi, come le idee e le canzoni) che si distinguono per il loro eloquio da profeti di banco, incline all’iperbole esemplare (sentenzia BJ Fogg: «questa idea o la capisci al volo o non c’è niente da fare»), accompagnati ovviamente dai loro epigoni nostrani che imitano come possono. Vengono a ruota altri sostenitori: personaggi noti reclutati nella vecchia cultura italiana, che della rete sanno poco o niente ma afferrano che è ora di diventare attuali e senza gran discernimento si fanno conquistare dalla prima grossa patacca che si lascia cavalcare (Veronesi e Armani). Ed ecco accorrere in forze le etterne truppe di commercio, le compagnie di telecomunicazione per cui questa è una ottima e abbondante acqua da tirare al loro mulino dove non pace si vende, ma abbonamenti e cellulari come se piovesse. Per le aziende qui è la ciccia di un grande valore aggiunto: tutti corrono a sommarie e frettolose ripulite all’immagine corporate, e questa faccenda ad alto contenuto etico del Nobel per la pace – a cui direttamente quando mai potrebbero aspirare! – è una insperata straghiotta backdoor.

Senonché in questo Nobel a internet il contenuto etico non c’è. E la proposta è una scemenza. Per almeno due ragioni.

La prima è che l’umanità ha bisogno – oggi più di ieri – di eroi con un volto e un nome. Di gente che dia l’esempio. Di beaux gestes da imitare. Non sa che farsene di un modello concettuale. Di una ennesima astrazione. Se il Nobel per la pace non sarà assegnato a una persona in carne ed ossa, la nostra facoltà morale non rispecchierà niente. E noi non potremo imparare nulla. Perciò ci sentiremo un po’ meno uomini. È con tante di queste straordinarie idee che la facoltà morale appassisce e muore, e si smarrisce per via il senso della vita.

La seconda è che questa proposta, almeno come presentata da Wired, è contaminata alla radice dallo scopo di lucro e dai secondi fini. Intorno all’estatico editoriale d’apertura di Riccardo Luna («Oggi proviamo a volare, per spingerci dove nessuno è arrivato mai») che presenta questa ennesima straordinaria idea, si affollano come ali di avvoltoi una serie di doppie pagine pubblicitarie dove grandi player interessati (nell’ordine: 3, SonyEricsson, Vodafone, Telecom Italia, Tiscali) dànno il loro commosso sostegno all’iniziativa. A mezzo del più tradizionale advertising a tema (roba tipo «12 megapeace»). Dico, s’è mai vista una pubblicità per un candidato al Nobel? Santo cielo, no! Perché non ci guadagna nessuno, e così deve essere (ma forse Al Gore ha già intorbidato le acque…). Ora il costo di quella pubblicità è stato un investimento calcolato come qualunque altra spesa promozionale. Abbiamo dunque un paradosso inedito: la candidatura di un Nobel di pace è frutto di puro interesse. E Wired Italia è piena di pubblicità. Insomma qui nessuno è eticamente credibile. E il candidato astratto non può ribellarsi: non esiste!

Mi sovviene che in questo Paese in cui il conflitto di interessi è stato digerito, sfondo invisibile e normale dell’agire quotidiano, ci si è dimenticati che esistono due cose chiamate dignità e onore – no, non sono per niente di destra, non pensarlo nemmeno: sono solo un uomo – senza le quali una società si accartoccia nella sfiducia e nell’indifferenza. Si può finire per credere a qualcuno presi per stanchezza, come succede con chi ci bombarda giorno e notte con marchi e slogan. Ma quello che desideriamo è non avere dubbi e credere alla purezza, a qualcuno che resiste, che non si vende. Come succede con Altroconsumo, con Adbusters, con Wikipedia, nel mio piccolo con questa rivista, e in tutti i pochissimi posti rimasti dove tanto per cominciare la pubblicità non entra affinché non ci sia neanche la minima possibilità di pensar male.

E così dev’essere, nel massimo grado, un Nobel per la pace. Che è  a) un essere umano, b) esemplare perché visibilmente al di sopra di ogni sospetto. Uno stato di grazia in due mosse e una vita.

La proposta di Wired fallisce su entrambi i punti. Intendiamoci: Wired è una rivista molto ganza, piena di cose interessanti e utili. Il problema è che pure lei aggiunge un ennesimo capitolo al mescolarsi continuo di buone e cattive intenzioni, di sano e marcio, di onesto e corrotto, di liberalità e interesse, di news e fiction, in cui non riusciamo più a trovare orientamento.