Se questa è razionalità

(economia, illusionismo)

La pseudoscienza economica mainstream si basa sulla cosiddetta “teoria della scelta razionale”, e la “perfetta razionalità” è un centro ossessivo del suo discorso. Ma che vuol dire “perfettamente razionale” secondo questo modo di vedere?

Per rispondere mi servirò di un esempio fra tanti: l’articolo Razionalità collettiva e amministrazione dei beni pubblici uscito sull’autorevole rivista Sistemi Intelligenti nel 2009. Gli autori studiano il caso di un pascolo condiviso che i proprietari dei terreni circostanti possono usare liberamente. Moderazione o rapacità: qual è la scelta migliore?

«Da un punto di vista individuale la tentazione di utilizzare in eccesso la risorsa comune rappresenta una strategia perfettamente razionale. Il costo che i singoli sono tenuti a sopportare, nel caso in cui decidano ad esempio di aumentare il numero dei capi di bestiame condotti a pascolare sulle terre comuni, è infatti inferiore rispetto al beneficio individuale. L’aumento dei capi del proprio bestiame rappresenta per ogni allevatore un guadagno netto, mentre la conseguente perdita di valore del pascolo viene suddivisa tra tutti gli allevatori che utilizzano il medesimo terreno. La perdita del singolo, essendo solo una piccola frazione del totale, risulta quindi sempre inferiore rispetto al beneficio immediato. Da un punto di vista economico, quella dell’allevatore è una decisione perfettamente razionale: ogni altra scelta rappresenterebbe anzi, nel breve periodo, una soluzione sub-ottimale».

La “perfetta razionalità” è dunque definita more geometrico: il guadagno, che è individuale, è maggiore della perdita, che è collettiva quindi frazionata. Se lo dice l’aritmetica, è scienza: allora via libera allo sfruttamento indiscriminato. Tutto il resto è « sub-ottimale », come dire: da sciocchi. Ecco, nella sua brutale semplicità, la teoria della scelta razionale dominante. Amartya Sen la commenta così:

«Si dà per scontato che le persone non saranno razionali se non perseguono intelligentemente soltanto il proprio interesse egoistico. Dal momento che gli esseri umani possono avere anche ottimi motivi per fare attenzione anche a obiettivi diversi che non il perseguimento ostinato del proprio interesse egoistico, e riescono a scorgere anche argomenti favorevoli alla presa di coscienza di valori più ampi o di regole normative per un comportamento decente, la caratterizzazione della scelta razionale dell’economia mainstream rispecchia una lettura estremamente limitata della ragione e della razionalità».

Oneste parole di un premio Nobel tanto richiesto come starring speaker nei Festival internazionali quanto negletto nelle politiche economiche. Ma io andrei oltre. La mancata considerazione del comportamento reale degli esseri umani riguarda non solo la naturalezza dei moti altruistici segnalata da Sen, bensì anche il rischio della perdita per conflitto e ritorsione, nonché nel furto indiretto a se stessi che si perpetra il più delle volte (caso emblematico: gli sversamenti tossici nella Terra dei Fuochi). Insomma lo spiccato difetto della “perfetta razionalità” dell’economia mainstream sta nella sua fenomenale e caratteristica irrazionalità.

Cominciamo dall’ultimo punto. La “perfetta razionalità” che consiste nel depredare a piacer proprio ciò che è di tutti, non si dà pena della distruzione della risorsa pubblica. Il suo riduzionismo estremo, che seziona i problemi complessi in tanti problemini stupidi, considera gli effetti collaterali una questione estranea e giustifica questa esclusione dalla mappa del reale con una parola del suo gergo per le allodole: esternalità. Il tecnicismo, fuor di metafora, vuol dire “affari vostri”. Ma vostri di chi? Forse che un fall-out massivo da Fukushima nell’atmosfera e nell’oceano sarebbe un problema solo dei giapponesi? Facendo tutti parte di stessi sistemi naturali e di galassie affettive connesse, la separazione tra “io” e “voi” è un’astrazione senza senso.

Ma non è ancor questo il colmo del delirio. La strategia di “perfetta razionalità” fa proprio come se gli altri non esistessero. E non sto parlando di etica, basta il corpo: muscoli, ossa, sangue e nervi. Se pure fosse questione di vita o di morte arrivare in fretta al pronto soccorso, potrebbe l’ambulanza sfrecciare ciecamente senza curarsi dei passanti che investe, o del treno che la spazza via al passaggio a livello? Se pure fosse giusto badare solo ed esclusivamente a massimizzare il proprio tornaconto, potrebbe un uomo farlo alla faccia di un mucchio di gente senza considerare che le vittime potrebbero a buon diritto reagire al sopruso, coalizzarsi, aizzargli i cani contro, prenderlo a bastonate, linciarlo e bruciargli la casa? Definireste voi « perfettamente razionale » uno che agisse con tanta leggerezza? Più che altro verrebbe da chiamarlo illuso, cretino, demente, pazzo. Allora, complimentiamoci per la perfetta razionalità dei condòmini che si prendono a fucilate per un posto auto. È impressionante pensare a quanta realtà si deve ignorare per definire “perfetta razionalità” quella di chi si disinteressa totalmente a un rischio tanto concreto.

Questa è la razionalità degenere del razionalismo contemporaneo: una rana che si fissa su una mosca in volo e non vede altro. Siamo agli antipodi della ragione: se esiste un lume della ragione, è proprio quello che rischiara la strada intorno al punto di vista e allarga lo sguardo quanto più può per capire, almeno, se con un facile guadagno immediato non stia firmando la sua rovina futura.

La vita umana si svolge da tempo immemorabile entro comunità. Saper accordarsi con gli altri è stato un vantaggio evolutivo che si è consolidato geneticamente. Per questo trascurare la reazione del prossimo e il ritorno negativo per se stessi è il chiaro sintomo di una menomazione. Oggi sappiamo che si tratta di patologie a carico delle varie strutture cerebrali che regolano l’empatia: forme più o meno gravi di psicopatologia o di autismo, spesso ben mascherate all’interno di strutture di potere culturalmente legittimate. Oggi sappiamo anche che è impossibile una condotta razionale senza la guida di sane emozioni, quelle che ci rivelano immediatamente il ruolo che avranno le nostre scelte all’interno del consorzio umano in cui seguiamo il nostro percorso. La ragione degna di questo nome è in grado di riflettere a parti scambiate, e fonde la presenza del prossimo con la logica ordinatrice. Nel caso dell’abuso del bene comune, questa ragione vedrebbe la dura reazione dei vessati come legittima, e perciò probabile. La indovinerebbe tanto più violenta e insidiosa se non ci sono leggi a regolare l’uso del bene comune, perché allora anche la battaglia per difenderla sarà senza regole. Una strategia razionale dovrebbe contemplare i potenziali costi del conflitto, di una catastrofe sociale o naturale, e di quella particolare sconfitta di cui si rammarica Cassio: «Ho perso la mia reputazione. Ho perso la parte immortale di me stesso, e quel che resta è bestiale». Una strategia razionale sceglierebbe di coltivare un equilibrio ricco dei semi racchiusi nei frutti della cooperazione, puntando sul capitale di relazione immanente nel bene comune, senza il quale non ci può essere alcuna buona sorte a lungo termine e nemmeno molto senso nella vita. Questa è razionalità. Non le scorrerie di un folle che depreda i campi non recintati e avvelena l’aria, l’acqua, il suolo di tutti.

La teoria della “perfetta razionalità” razionalista, e la pratica dell’economia che si basa su di essa, sono il parto di personalità anti-sociali che l’hanno imposta senza alcun fondamento scientifico e nonostante la sua inverosimiglianza. La nostra società è in mano a pericolosi malati e dobbiamo persuadercene a fondo una volta per tutte, il prima possibile.